Roma

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Via L.G. Faravelli

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Sanremo

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Lucca

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Termodinamica 6 maggio 2019

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Torrevecchia

Torrevecchia (Roma), 2005

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Monte Mario

Cooperativa “La Casa Nostra”, anni Venti

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Calle Maipú 994 [3]

Borges Dep de Maipú 994 - Foto PD (2)

tratto da:

Alberto Manguel,Con Borges

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Mi faccio largo tra la folla in calle Florida, entro nella nuovissima Galeria del Este, esco dal lato opposto, attraverso calle Maipú e, appoggiandomi alla facciata di marmo rosso del numero 994, premo il pulsante 6B. Entro nel fresco androne dell’edificio e salgo i sei piani di scale. Suono il campanello e la domestica apre la porta, ma non fa in tempo a richiuderla alle mie spalle che da una pesante tenda spunta Borges, tenendosi molto dritto, la giacca grigia tutta abbottonata, il colletto bianco e la cravatta gialla a righe leggermente di sghimbescio. Mentre avanza verso di me, trascina un po’ i piedi. È diventato cieco sulla soglia della sessantina e si muove con passo malcerto anche in uno spazio familiare come questo. Allunga la mano destra e mi accoglie con una fiacca stretta assente. I convenevoli sono finiti. Si volta e mi fa strada in soggiorno, dove si siede eretto sul divano di fronte alla porta. Prendo posto nella poltrona alla sua destra, e lui chiede (ma le sue domande sono quasi sempre retoriche): “Allora, leggiamo Kipling stasera?”.

[…] Fin dalle prime visite l’appartamento di Borges mi sembrò esistere fuori dal tempo, o meglio in un tempo costituito dalle esperienze letterarie di Borges, un tempo scandito da epoche diverse: l’Inghilterra vittoriana ed edoardiana, l’Alto Medioevo nordico, la Buenos Aires degli anni Venti e Trenta, l’Amata Ginevra, l’espressionismo tedesco, gli odiosi anni di Peron, le estati a Madrid e Maiorca, i mesi trascorsi all’università di Austin, nel Texas, dove fu oggetto per la prima volta della generosa ammirazione degli Stati Uniti.

[…]

Ricordo l’appartamento come un luogo ovattato, caldo, lievemente profumato (la domestica si ostinava a tenere il riscaldamento al massimo e aveva l’abitudine di spruzzare di acqua di colonia il fazzoletto che infilava, piegato con gli angoli in vista, nel taschino della giacca di Borges). Era anche piuttosto buio, e tutti questi elementi sembravano accordarsi alla cecità del vecchio signore, suscitando una sensazione di felice isolamento.

[…]

Nel suo appartamento (come nell’ufficio che occupò per molti anni alla Biblioteca Nazionale), Borges cercava il conforto della routine, e nel suo spazio personale sembrava che nulla cambiasse mai. Ogni sera, quando scostavo la tenda dell’ingresso, la disposizione dell’appartamento si svelava di colpo. A destra, un tavolo scuro coperto da una tovaglia di pizzo e quattro sedie con gli schienali diritti formavano la sala da pranzo; a sinistra, sotto una finestra, c’erano un divano consunto e due o tre poltrone. Borges si sedeva sul divano e io in una delle poltrone, di fronte a lui. Mentre parlava, i suoi occhi ciechi (avevano sempre un’espressione malinconica, anche quando si raggrinzivano in una risata) fissavano un punto nello spazio, e intanto io lasciavo vagare i miei per la stanza, riabituandomi agli oggetti familiari della sua vita quotidiana: un tavolino su cui teneva un boccale d’argento e una coppa da mate appartenuti al nonno, una scrivania in miniatura che risaliva alla prima comunione della madre, due librerie a muro bianche in cui erano sistemate delle enciclopedie e due basse librerie in legno scuro. Alle pareti erano appesi un quadro dell’Annunciazione, opera della sorella Norah, e un’incisione di Piranesi che raffigurava misteriose rovine di forma circolare. Sulla sinistra un piccolo corridoio conduceva alle camere da letto: quella della madre, piena di vecchie fotografie, e quella di Borges, semplice come la cella di un monaco. Qualche volta, mentre stavamo uscendo per una passeggiata serale o per cenare all’Hotel Dora, che era lì di fronte, ci raggiungeva la voce disincarnata di Doña Leonor: “Georgie, non dimenticare il pullover, potrebbe fare freddo!”. Il luogo era abitato da due spiriti: Doña Leonor e Beppo, il grande gatto bianco.

Non vedevo spesso Doña Leonor. Di solito, quando arrivavo, era nella sua stanza e si sentiva solo la sua voce gridare ogni tanto un ordine o una raccomandazione. […]

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La camera da letto di Borges (talvolta mi chiedeva di entrarci a prendere un libro) era decisamente spartana. Un letto di ferro con un copriletto bianco su cui ogni tanto si acciambellava Beppo, una sedia, una piccola scrivania e due basse librerie esaurivano il mobilio. Alle pareti erano appese una tavola lignea con gli stemmi dei diversi cantoni svizzeri e l’incisione di Dürer Il cavaliere, la morte e il diavolo, celebrata da Borges in due rigorosi sonetti.

[…]

Borges parlava dell’universo come di una biblioteca e confessava di aver immaginato il Paradiso “sotto la specie di una biblioteca”, ma le dimensioni della sua biblioteca personale erano deludenti, forse perché sapeva, come ha scritto in un’altra poesia, che il linguaggio può soltanto “simulare la sapienza”. Chi andava a fargli visita si aspettava una casa sommersa di libri, mensole prossime a schiantarsi, pile di carta stampata che ostruivano i passaggi e sbucavano da ogni anfratto, una giungla di inchiostro e di fogli. Scopriva invece un appartamento in cui i libri occupavano solo qualche angolo discreto. Quando il giovane Mario Vargas Llosa andò a trovare Borges intorno alla metà degli anni Cinquanta, commentò la sobrietà dell’ambiente e chiese perché il Maestro non vivesse in una casa più ampia, più elegante. Borges si offese moltissimo. “Forse a Lima si usa così,” disse all’indiscreto peruviano “ma qui a Buenos Aires non amiamo metterci in mostra”. Le poche librerie contenevano tuttavia l’essenziale delle letture di Borges, a cominciare da quelle che ospitavano le enciclopedie e i dizionari, che erano il suo orgoglio. […]

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Le due librerie basse in soggiorno ospitavano opere di Stevenson, Chesterton, Henry James, Kipling. […] Lì teneva anche Esperimento col tempo di J.W. Dunne; diversi libri di H.G. Wells; La pietra lunare di Wilkie Collins; vari romanzi di Eça de Queirós in rilegature cartonate che andavano ingiallendo; libri di Lugones, Guiraldes e Groussac; Ulissee La veglia di Finnegan di Joyce; Vite immaginarie di Marcel Schwob; i romanzi polizieschi di John Dickson Carr, Milward Kennedy e Richard Hull; Vita sul Mississippi di Mark Twain; Buried Alive di Enoch Bennett; una edizioncina in brossura di La signora trasformata in volpe e Un uomo allo zoo di David Garnett, con delicate illustrazioni al tratto; le opere più o meno complete di Oscar Wilde e di Lewis Carroll; Il tramonto dell’Occidente di Spengler; la serie dei volumi di Storia della decadenza e caduta dell’Impero Romano di Gibbon; diversi libri di matematica e filosofia, compresi alcuni volumi di Swedenborg e Shopenhauer, e l’amato Wörterbuch der Philosophie di Fritz Mauthner. Molto di questi libri lo accompagnavano fin dall’adolescenza; altri, quelli in inglese e in tedesco, portavano le etichette delle librerie di Buenos Aires, ora tutte scomparse, in cui erano stati acquistati: Mitchell’s, Rodriguez, Pygmalion.

[…]

Le librerie della camera da letto ospitavano volumi di poesia e una delle più grandi collezioni di letteratura anglosassone e islandesi dell’America latina. In una Borges teneva i libri cui ricorreva per studiare quelle che chiamava

[le] parole laboriose e aspre/che usai, con una bocca che ora è polvere,/nei giorni di Mercia e Nortumbria,/quando non ero ancora Haslam o Borges.

Qualcuno lo conoscevo perché glielo avevo venduto io da Pygmalion: il dizionario di Skeat, una versione annotata della Battaglia di Maldon, la Altgermanishe Religionsgeschichte di Richard Meyer. Nell’altra libreria c’erano le poesie di Enrique Banchs, di Heine, di san Giovanni della Croce, e molti commenti danteschi: di Benedetto Croce, Francesco Torraca, Luigi Pietrobono, Guido Vitali.

Da qualche parte (forse nella camera da letto della madre) c’era la letteratura argentina che poco prima della Grande Guerra aveva accompagnato la famiglia nel suo viaggio in Europa: Facundo di Sarmiento, Croquis y siluetas militares di Gutiérrez, i due volumi di storia argentina di Vicente Fidel López, Amalia di Marmol, Prometeo & Cia.Di Eduardo Wilde, Rosas y su tiempo di Ramos Mejia, diversi volumi di poesie di Leopoldo Lugones e il Martin Fierro di José Hernandez, il poema epico nazionale che Borges adolescente scelse di portare con sé a bordo della nave – un libro che Doña Leonor disapprovava per gli sprazzi di colore locale e cruda violenza.

Nelle librerie dell’appartamento mancavano le opere di Borges. Agli ospiti che chiedevano di vedere le prime edizioni di qualche suo libro diceva con orgoglio di non possedere un solo volume che portasse il suo nome “eminentemente dimenticabile”. […]

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Calle Maipú 994 [2]

tratto da:

Domenico Porzio, J.L.Borges, Tutte le opere Vol.1

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Mi parla dal divano verde, nel soggiorno del piccolo appartamento. […] Nell’attesa di Maria Kodama, sua accompagnatrice ed angelo custode, mi racconta gli oggetti e i ricordi che riempiono questa stanza che è insieme salotto, sala da pranzo e camera di lavoro. L’autunno ventoso e assolato di Buenos Aires porta fin qui, al sesto piano del numero 994 di Calle Maipú, lo stormire dei dilatati rami dei palos borrachos di piazza San Martin e deposita le foglie sul terrazzino che circonda l’appartamento. Tra i vasi d’argento (uno carico di crisantemi gialli) sulla consolle impero, il servizio in argento del mate (con bombilla, brocca e catinella), appartenente al bisavolo Isidoro Suárez che lo portava legato alla sella nelle campagne combattute con San Martin e Bolivar. Il quadro appeso al muro, dai colori tenui, di timbro angelico e preraffaellita, raffigurante due ragazze nel portico di un giardino, è di sua sorella Norah: le niñas sono le figlie, da tempo ormai sposate. Mi fa notare l’incisione del Piranesi (la piramide di Cestio) [refuso dell’autore] sopra il dressoir col ripiano in marmo bianco sul quale poggiano due anfore di cristallo col manico d’argento. Il piccolo scrittorio accanto al divano lo regalarono alla madre Leonor per la prima comunione. Quando lavora egli detta seduto al tavolo da pranzo, di noce scuro, che ho alle spalle e sul quale pende un lampadario a gocce di cristallo. Tre non grandi librerie completano, con sedie e poltrone, l’arredamento. I ripiani allineano due enciclopedie: con orgoglio mi indica i volumi della “Britannica” edizione 1913: nelle pagine di una precedente edizione anglo-americana (1902) si celava la voce “Uqbar” e l’idea per un memorabile racconto di Finzioni. Tra i libri: opere di Cervantes, Quevedo, Conrad, James, Stevenson, Shaw; i prediletti. Tutto intorno, da cornici sagomate, guardano antiche e stanche fotografie: ufficiali pallidi e barbuti, compunti volti di donne in crinolina, gentiluomini in marsina accanto a tendaggi evanescenti e con le mani lievemente appoggiate a colonne intarsiate: la solenne dinastia dei Borges e degli Acevedo. […]

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A un giornalista messicano, che aveva ricevuto per un’intervista, il quale timidamente gli chiese perché si adattasse a vivere in un appartamento così scomodo e piccolo, Borges rispose: “Ma come, non ha visto che ho perfino delle sedie in più? Mi meraviglio che lei trovi scomoda una casa che conosce da un quarto d’ora, mentre io ci vivo comodamente da quasi mezzi secolo”. Nelle tre stanze di calle Maipú, col cucinino, il bagno e il breve ingresso, ci sono ora in più, oltre le sedie, anche il grande letto e i mobili della stanza (la più vasta) dove nel 1975, a 99 anni, morì la madre Leonor Acevedo, per il quale il figlio Georgie rimase fino all’ultimo giorno el niño. È esposta a nord ed è la più luminosa. Per questo, lasciato intatto il letto spagnolo con quattro colonne di legno agli angoli la usa come stanza di lavoro alternativa. Borges (sono da lui per controllare il resto della traduzione de La cifra) mi consente di accedervi. Sulla bianca coperta del letto e appisolato Beppo, un enorme gatto bianco. La piccola scrivania materna è ingombra di carte, fotografie incorniciate di Borges bambino, della madre giovane, del padre, di Jorge Louis con la mamma. Su un cassettone scuro, tra ninnoli e altre fotografie, un recente busto di Borges. Al muro, una scaffalatura con dizionari, repertori, autori latini, tedeschi e francesi. Tra le fotografie alle pareti, una di Silvina Ocampo, moglie del suo grande amico Adolfo (Adolfito) Bioy Casares. Non mancano, ovviamente, accanto alla scrivania, due sedie. Non mancano mai i fiori (ci pensano Fanny, l’anziana governante, o le amiche-ex allieve alle quali, il pomeriggio, detta prosa o versi) nel vaso di vetro che, durante la prima guerra mondiale, Leonor Acevedo comprò a Murano e che secondo una leggenda familiare era una coppa avanzata a un servizio fatto per il Re d’Italia. Non mancano il ramoscello d’ulivo nell’acquasantiera di un piccolo crocifisso a capoletto. […] La governante Fanny, constatato che sono stato ammesso perfino nella stanza della Señora, decide, col consenso del Señor, di offrirmi un mate. Appena si allontana, con l’orgoglio di un collezionista cui la sorte ha regalato una rarità, Borges sussurra: “è di sangue indio, della provincia di Corrientes. Parla anche il guarany e beve una ventina di mate al giorno”. È la voluminosa ma agile Fanny a preparargli i pasti di stoica semplicità: invariabilmente riso al butto, verdura cotta, frutta e ogni tanto un cucchiaio di dulce del leche di cui è ghiotto. Carne, mai: “Da bambino me ne davano tre volte al giorno, ora mi nausea”. […] Gli chiedo chi sia l’Adamo di Brema citato in un verso che ho tradotto […] Si fa accompagnare nel soggiorno. Devo prendere un volume dell’enciclopedia. Ricorda: “Penultima sottovoce della voce Adamo. Nella colonna a destra ci deve essere un ritratto del monaco”. Esatto; gli leggo la voce. Ormai, a completare l’iniziazione, posso essere ammesso anche nella sua stanza da letto: poco più di una cella. Un piccolo letto con la testata in ferro. Su una parete, incorniciate, le molte honoris causa conferitegli dalle più celebri università d’Europa e d’America; l’incisione del Dürer con il cavaliere e la morte; un piatto di legno con, i rilievo e colorati, gli emblemi dei cantoni svizzeri. Sul ripiano del cassettone, accanto ad una piccola riproduzione del monumento equestre a Colleoni, (“Me lo comprò mio padre a Padova”) c’è un recente acquisto: la copia delle clessidra (el reloj de arena) che usava Kipling: “ è una delle più grandi che conosca: la sabbia dura per un’ora”. Ma il thesaurum è nella libreria a vetri, di fronte al letto dove c’è spazio anche per una sedia: sono i testi, qualche centinaio, elle letterature medioevali scandinava e anglosassone. È la collezione più completa di Buenos Aires, mi informa. Presumibilmente di tutta l’America del Sud. Con mani non esitanti, come se vedesse con le dita, apre le ante, prende un volume, me ne mostra la stampa, la qualità canterina della carta ed elenca, mentre sfiora una fila di volumi, una serie di titoli: Sverrissaga, Fagrskinna, Morkinskinna. Li estrae, li accarezza, li ricolloca. Sono opere di suoi contemporanei, di suoi amici ormai. […]

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tratto da:

Domenico Porzio, J.L.Borges, Tutte le opere Vol.2

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Risospingo, dopo tre anni, la porta d’ingresso (Maipú 994) della casa dove, al sesto piano, abita Borges. Riattraverso il breve atrio di marmo giallo da dove parte la gialla marmorea scala elicoidale ed entro nel piccolo ascensore. Al sesto piano tocco brevemente il pulsante del campanello accanto alla porta di noce sulla quale luccica la breve targhetta d’ottone col breve ed illustre cognome: ed è subito Fanny. Più voluminosa, mi pare, e più sorridente nel volto indio, bruno e materno. Mi regala sorrisi e parole cordiali; sapeva del mio arrivo per questi giorni dell’inverno argentino. Mi fa accomodare nel salotto-studio-sala da pranzo; señor verrà subito. Le poltrone e il divano, già di stoffa verde, sono ricoperti da nuove fodere color giallo-ocra; vagabondo con gli occhi per le pareti , il tavolo rettangolare, l’eccentrico lampadario di vetro a più lampade, le librerie. La vecchia edizione (1923) della “Britannica” è al suo posto con la legatura di pelle morbida color tabacco un po’ più lisa; sulla parete di sinistra gravita la scaffalatura con i cento volumi della enciclopedia “Espasa-Calpe”; noto, in una libreria d’angolo, alle spalle del divano, i grossi volumi verdi dell’ “Enciclopedia Europea” dell’editore milanese Garzanti. Gli altri mobili – lo chiffonnier intarsiato, la consolle a due ripiani con la breve alzata dello specchio, la cassettiera con la ribalta – sono allineati sulla parete di destra. Rivedo, tra le fotografie appannate degli antenati Borges e Acevedo, l’incisione del Piranesi (Tempio del dio Canopo alla Villa Adriana), e quella del Rossi (Piramide di Cestio).

Borges entre sus libros de su depto en Maipú 994

Borges entra sorridente in monopetto blu, la mano già tesa nella probabile direzione della mia. Sapeva di questo concordato mio soggiorno a Buenos Aires; non mi sorprende il suo buon umore, né la sua giovanile vecchiaia che raggiungerà, in agosto gli ottantasei anni: ci eravamo incontrati a Milano meno di un mese fa. Lo accompagno verso il divano dove si siede e mi illustra il manico intarsiato del suo bàculo egipcio, il bastone egiziano regalatogli da Maria Kodama al Cairo. Fanny – il nome intero della fedele governante è Epifania – mi serve mate azucarado […] (Più tardi, in disparte, per non ricordare un dolore al señor, mi comunica che Beppo, il grande vecchio gatto bianco, è morto; aveva più di dodici anni e aveva subito più di una operazione, inutilmente.)

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Con Borges stabilisco un programma di lavoro per i prossimi giorni. Io devo raccogliere, con il suo consenso, documenti e fotografie riguardanti lui e la sua famiglia ed ho poi una serie di dubbi per la traduzione italiana dei testi destinati al secondo volume delle sue opere complete. […] Mi chiede in cambio se, nei prossimi giorni, potrò leggergli qualche testo in italiano e se potrà dettarmi qualche verso. Accetto il patto, felice. Precisa che vuole farsi rileggere Dante. […]

Mi chiede, indicandomi una zona della libreria, di disporre sul tavolo le sue edizioni della Divina Commedia. Sono una mezza dozzina, di cui una illustrata: delle Scartazzini, del Momigliano, del Casini-Barbi, del Provenzal, del Sapegno, del Grabher. Prendiamo anche la traduzione inglese del Longfellow. La nostra umile lectura Dantis consiste in questo: leggo lentamente, spesso ripetendo alcune terzine, un canto o una sua parte, controllando e mettendo a confronto, su richiesta del mio ascoltatore, le note nelle varie edizioni disponibili. Quindi rileggo il canto senza più interruzioni. Mi accorgo che Borges sa a memoria gran parte delle terzine, che mormora a voce bassa. […]

Mi chiede di accompagnarlo, un pomeriggio, nella sua minuscola stanza da letto. C’è un lettino basso di ferro nero appena contenuto nella parete di destra, dove è appesa la stampa del Dürer Il cavaliere, la morte e il diavolo. Sulla parete di fronte: la libreria con tutti i volumi di letteratura inglese medioevale, e una piccola cassettiera. Alla parete di sinistra una libreria a tre ripiani protetti da un vetro che si alza a ribalta: “Ogni ripiano” mi spiega “è a se stante: mio padre li pagò dieci pesos ciascuno”. Sopra questa libreria, tra le fotografie incorniciate e oggetti ricordo, vi è la replica della grande clessidra che appartenne a Kipling: “La sabbia non dura un’ora, ma cinquanta minuti”. Borges si siede sul letto, depone il bastone per terra e con le mani si protende verso il vano inferiore della cassettiera che ha di fronte; lo apre, cerca ed estrae un foglio piegato in due, me lo porge e mi dice di scrivere sul retro, che è bianco; poi mi detta, con la punteggiatura, questi due versi: ni del jardin, del arbol y la hoja / ni del poniente que el cristal duplica. Riprende il foglio, lo ricolloca nel cassetto che richiude e torniamo nel soggiorno. […]

Borges soggiorno

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Calle Maipú 994 [1]

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tratto da:

Domenico Porzio, J .L. Borges. Immagini e immaginazione

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Calle Maipú, dove Borges abita da circa cinquant’anni, è parallela a Florida, la via del passeggio vietata al traffico, dei grandi magazzini, delle odorose pelletterie, cui ora fa concorrenza la spavalda e trafficata Corrientes. Maipú nasce, a nord, dalla grande piazza San Martin (il liberatore) e scende per una decina di isolati (cuadras) e incroci (esquinas) fino a Rivadavia. Nomi tutti della topografia lirica dello scrittore. […]

Casa sua è al numero 994. Quasi dirimpetto, nella Galeria del Este c’è la libreria “la Ciudad” diretta dalla vedova del suo scomparso amico Luis Alonso. Fino a poco tempo fa vi si recava da solo: lo aiutavano ad attraversare i passanti che sempre lo riconoscevano. […]

La sua casa è semplice, civile e borghese: l’atrio di marmo ocra, il portiere, l’ascensore col cancelletto, la scala elicoidale di marmo che sale ai piani, le porte di noce sui pianerottoli. Sta al sesto piano in un appartamentino di proprietà: il vasto soggiorno, due stanze, i servizi, la cameretta di Fanny. L’ingresso appena disimpegna verso le stanze: lo domina un grande ritratto ad olio della madre sessantenne (“Lo fece un’amica di Norah”).

La prosperosa governante è da decenni coi Borges: giunse in casa loro giovinetta. Fanny, dal viso olivastro e sempre sorridente, è meticcia. Tiene in perfetto ed evidente ordine sia il señor sia l’appartamento (“Parla anche il guarani – dice il señor con ammirazione – e beve una ventina di mate al giorno”).

Borges con Fani en el depto de Maipú 994 (inicios de la década del 80) In questa casa per lui anche troppo vasta, coi libri spolverati, i mobili lucidi, i pavimenti incerati, le tende candide, i fiori freschi nei vasi, Borges si muove disinvolto, anche se preferisce appoggiarsi a un braccio. Sa quanti passi lo separano da un tavolo, da una porta; sa dove allungare una mano per prendere il libro che cerca, per premere il pulsante di una lampada se ha ospiti.

A parte le ore di sonno, vive nel soggiorno che è, insieme, il suo salotto (col divano e poltrone), il suo studio (tavolo, sedie, librerie) e la sua sala da pranzo.

Borges por Sara Facio en Manguel2 Le pareti sono bianche. Lo circonda un terrazzino. Il pavimento è senza tappeti, per lui pericolosi. Vi si entra scostando una tenda: a destra il tavolo scuro, fratina, con quattro sedie sotto un lampadario a gocce di cristallo, a più luci. Lo abbraccia una libreria bianca, a elle, con cinque ripiani e sportelli chiusi in basso. Vasi, ricordi, ceramiche corrono in cima ai libri. Qui stanno i vecchi volumi della Enciclopedia Britannica, qui i dizionari e la Bibbia, qui le edizioni di Dante, Emerson, Poe, Praz, Virgilio, Swinburne, De Quincey, Coleridge, Kipling e di altri classici, soprattutto inglesi e americani. Sulla parete dirimpetto a chi entra, mobili e vecchie fotografie: i Suarez e gli Acevedo; l’eroe di Junin con medaglie e spalline. Un quadro a olio di Norah, L’annunciazione, e una incisione del Piranesi: Il tempio del dio Canopo alla villa Adriana. Sulla console, con una curiosa breve alzata a specchio, la superstite argenteria di famiglia: c’è anche la catinella da barba che il nonno Francisco Borges portava agganciata alla sella durante le campagne fatte con San Martin e Bolivar. Sopra lo chiffonier col ripiano di marmo bianco, un grande paralume. Lungo la parete di fondo, a sinistra, illuminati da una grande vetrata, il divano e le due poltrone di stoffa color crema: ogni mattina, solo, sul divano, col bastone tra le mani, sillaba i versi e le frasi che detterà nel pomeriggio. Quasi tutta la rimanente parete di sinistra è occupata dai cento volumi dell’enciclopedia Espasa-Calpe: gliela regalarono gli editori quando appresero che, in occasione del Premio Cervantes, aveva detto ai giornalisti che una parte dell’assegno ricevuto l’avrebbe destinata al suo acquisto. Avanza appena lo spazio, su questa parete, per una incisione del Rossi, La piramide di Cestio, una fotografia assai bella di Norah negli anni Venti, e tre bisavoli in marsina e tuba.

Nell’ingresso, subito dopo il bagno, una porta si apre sulla piccola e monastica sua camera da letto. Lo stretto lettino di ferro appoggiato lungo il muro, sul quale dorme e sogna fin da quando era ragazzo, è vegliato da una incisione del Dürer, Il cavaliere, la morte e il diavolo. Alla parete opposta, praticamente a portata di mano, una scrivania a cassetti (privatissimi: vi tieni i manoscritti in progress) sulla quale si alza una vetrina a quattro ripiani che ospita i libri di letteratura inglese medievale: qui i Vichinghi e le loro saghe, le Edde, la dura epica sassone, Beowulf.

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Un’altra libreria con cassetti in basso e tre ripiani con vetrine ribaltabili è a sinistra entrando: contiene i libri di letteratura inglese già nella biblioteca paterna: “Questa libreria la comprò mio padre un ripiano alla volta (sono smontabili) pagando dieci pesos per ripiano”. Sopra la libreria: fotografie con dedica di Susana Bombal, sfere ed ovuli di pietre minerali, una pipa di pannocchia, la statuetta equestre del Gattamelata comprata a Padova dal padre del 1916, la replica della clessidra usata da Kipling. Negli spazi superstiti delle brevi pareti: una tigre azzurra in ceramica regalo di Maria Kodama, diplomi di lauree, il diploma del primo premio per “la producción literaria de Imaginación en prosa” assegnato, nel 1957, dal ministro dell’Educazione “a su obra El Aleph”.

La stanza che fu di sua madre, in fondo al breve corridoio che parte dall’ingresso, è la più spaziosa e luminosa. È rimasta intatta. Egli talvolta la usa per sbrigarvi, su un tavolino, la corrispondenza, aiutato da un intimo di casa. Il grande letto matrimoniale, di noce scuro, a quattro colonnine, è guardato, sulla testiera, dalla copia di una Madonna del Murillo. La madre Leonor era cattolica, e un crocefisso con acquasantiera veglia il comodino con le fotografie incorniciate della giovane Leonor e del marito. Fotografie famigliari sono collocate dietro le vetrine e sui ripiani delle due librerie, tra candelabri, vasi di cristallo, argenti e ninnoli. Sul copriletto bianco, dove talvolta lo scrittore si siede a ricevere una telefonata, trascorreva intere giornate l’enorme e vecchio gatto Beppo. Tra i libri sugli scaffali: Joyce, Robert Graves, le opere del dottor Johnson, repertori tedeschi sulle religioni orientali, Cervantes, le concordanze di Shakespeare, Conrad, classici spagnoli. Alle pareti ancora diplomi, fotografie e ritratti di famiglia. […]

JLB - Borges en su casa, 1983, Christopher Pillitz, Getty Images

 

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Berlino

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2005

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